Conviene fare l’architetto?
Per anni mi sono fatta questa domanda, essendo già trascorso diverso tempo dalla mia laurea del 2004 e dall’abilitazione alla professione, obbligatoria per chi deve esercitare.
Se lo cerchi su Google, ti vien fuori questa pochissimo entusiasmante risposta: “Sul fronte delle retribuzioni, l’architettura continua a confermarsi uno dei campi meno gratificanti, in cui le differenze di genere si fanno sempre sentire.“
Può essere vero? Come mai, dopo anni di studi, sacrifici per una laurea tutto sommato tecnica e sfidante, master, dottorati, gavetta e rimpalli tra Italia e estero, poi si arriva a decidere di prendere altre strade, parallele o totalmente diverse dalla libera professione? “Uno su mille ce la fa”, come cantava Morandi, oppure c’è speranza per tutti?
Se stai leggendo qui molto probabilmente sei un ragazzo/a alle prese con la sua identità professionale oppure un neolaureato che si affaccia al mondo del lavoro, con qualche dubbio, oppure ancora alla ricerca di conferme.
Ti racconto qui il mio punto di vista, senza mezzi termini. Ovvio che si apre un dibattito molto personale a cui chiunque può comparare la sua prospettiva, frutto della sua esperienza: ci sono mille sfaccettature attraverso cui analizzare un’idea!
Premetto che con la laurea in Architettura puoi fare tante cose.
Puoi diventare interior designer, puoi occuparti di pratiche edilizie, direzione lavori, puoi gestire allestimenti, negozi, art direction, puoi fare design di prodotto, puoi insegnare, puoi occuparti di visualizzazione nel mondo del 3D, puoi rimanere nel settore immobiliare oppure nel mondo dell’università, puoi fare ricerca, puoi occuparti di pubblicazioni, puoi stare in un negozio, puoi entrare nel mondo del restauro o dell’urbanistica, insomma, un sacco di roba. Questo vuol dire che è una laurea generalista, ossia che ti apre tante porte, ma che non ti forma mai così tanto bene su una cosa specifica.
Alla larga dal tutto-e-subito
Quello che mi sento di dire in prima battuta è che l’architettura è una professione lenta. Lenta però nel solo senso dell’acquisizione delle competenze. Velocissima nella sua evoluzione, invece.
Chi si laurea in architettura, ancora con l’alloro sulla testa e la pergamena in mano, forse penserà che dopo 2-3 anni potrà navigare in acque calme. Attenzione ai facili entusiasmi. La realtà è che si tratta di un mestiere che non si impara mai se non facendolo. Personalmente mi ci sono voluti 10 anni per acquisire un minimo di sicurezza nella gestione di una professione in maniera autonoma, anni in cui ho fatto di tutto, tutt’altro e di più.
Avere sin dalla laurea un’idea di quello che vuoi davvero fare (ad esempio se l’interior designer o l’urbanista) è sicuramente un punto di vantaggio perché da principio cominci a far tuo un bagaglio di esperienze tale da costruire pian piano il “massetto della professione sulle tue spalle“.
Molti invece si barcamenano tra più situazioni, non del tutto convinti di quello che gli piace. Perché, diciamo la verità: come fai a sapere se ti piace fare interni se non li hai mai fatti?!? E quindi può capitare che, dopo un periodo di prova, non sei del tutto convinto e vai altrove a gestire altri tipi di progettazioni, ricominciando, diciamo, tutto da zero.
Gestire la libera professione senza una reale esperienza può essere un momento sfidante in senso negativo. Ecco perché parecchi pensano che “non sono fatto per fare l’architetto” e cambiano presto canale. Il cliente di oggi è esigente, impegnativo, attento, un po’ fuori di testa e, soprattutto, sempre connesso. Il che vuol dire che è sempre sul pezzo. Tu devi esserlo di più (oppure dargli delle regole per non impazzire).
La mia storia professionale
Quando ho intrapreso la libera professione nel campo dell’interior design avevo una laurea magistrale in Architettura ed esperienze in differenti campi: architettura, 3D, rendering, grafica, interni di residenze di lusso, interni di ristoranti, branding, design di packaging. Avevo anche due figli piccoli, per cui ero consapevole che non avrei potuto gestire tanti cantieri assieme, perché sì, purtroppo l’essere donna, mamma e libera professionista ti costringe a scendere a compromessi su quanto e cosa puoi fare.
Family first, ho pensato. Inizialmente, come attività online, ho aperto questo blog e ho cominciato a condividere quello che sapevo, le mie ispirazioni, qualche progetto. Senza grosse aspettative.
Ho creato un servizio di progettazione su internet a distanza che forniva piccoli progetti domestici a diversi clienti. Avendo competenze avanzate di visualizzazione architettonica 3D mi sono detta:
Gaia, se tu oggi ti rivolgessi ad un interior designer per la tua casa, che tipo di consulenza vorresti ricevere?
Ho quindi creato man mano un servizio più complesso che, oltre alla progettazione classica, aggiungesse anche dei rendering fotorealistici dell’ambiente progettato, in modo da coinvolgere il cliente nella totalità della progettazione. Io personalmente avrei voluto “vedere in anteprima” la mia casa trasformata, per cui questo plus mi sembrava coerente con l’evoluzione contemporanea della mia professione. Crea dunque il servizio di consulenza che vorresti.
Chiaro che per me realizzare dei rendering di progetto era (ed è tutt’ora) un lavoro in più, time consuming e stressante, ma ammetto che facilita molto il processo decisionale e di approvazione di uno spazio da parte del committente. Uno spazio ben progettato e facilmente comprensibile è un cantiere (per me) più facile da realizzare.
Con questo non voglio dire che i servizi di un architetto devono essere simili ai miei, assolutamente! Voglio invece sottolineare che il lavoro deve accogliere le richieste dei clienti e risolvere un loro problema. Se il servizio che tu stesso vorresti ricevere se ti rivolgessi ad un professionista non esiste, crealo. Non scopiazzare quello che fanno gli altri in modo banale. Inventa il tuo prodotto, il tuo modus operandi, la tua consulenza, il tuo brand.
Qui puoi leggere il racconto di un mio progetto.
Man mano ho puntato sempre di più sulla supervisione sul cantiere. Sembra una cavolata, ma un architetto senza cantiere è come una Ferrari senza motore. L’architettura si impara facendola, ti dicevo prima. E il cliente sta più tranquillo.
Formarsi sul cantiere, vedere cosa funziona e cosa no, capirne le criticità e saperle prevedere al prossimo lavoro è importantissimo. Nessuno ha la ricetta magica di quello che può essere, di come evolverà un lavoro. Sta a te darti tempo e capire come migliorare un servizio, cosa puoi delegare, cosa invece è fondamentale saper fare in prima persona.
Cercare di fare ordine nel mondo della libera professione è un casino. Hai moltissime attività da gestire: contatti, sopralluoghi, contabilità, cantieri, marketing, preventivi, progetti, check di varie cose, telefonate, fornitori, disegni tecnici, ricerca, rete, crediti formativi. Sei sommerso di lavoro anche per un progetto solo. Figurati poi quando ne gestisci 30 tutti assieme!
I 5 migliori interior trend del 2023 da non perdere
Il ruolo di internet
Internet è una grande opportunità per i professionisti. Permette di acquisire visibilità al pubblico vasto, semplicemente facendo quello che ci piace fare e condividendo la nostra passione online, ma ci permette anche di formarci, guardando gli altri professionisti, scoprendo cose troppo lontane da noi che magari non vedremo mai stando in ufficio, oppure seguendo corsi anche internazionali, come mi capita spesso.
C’è anche l’altro lato della medaglia però. Sicuramente online sui vari social puoi crescere in fretta, ma l’online è solo una piccola fetta della torta.
La vita professionale vera è offline. Il progetto va gestito e seguito, cercando una propria efficace metodologia. Il cantiere (o l’azienda, o il qualsiasi luogo di lavoro) lontano o vicino che sia, presenta una serie di sfaccettature che bisogna saper affrontare, dall’acquisizione della commessa alla gestione del cliente, dalle complessità/imprevisti di cantiere al reperimento dei fornitori. Insomma, oltre all’Instagram c’è (moltissimo) di più.
Ecco perché, per fare un esempio, passa un abisso tra chi da 20anni gestisce progetti complessi e chi ristruttura una volta casa sua e subito dopo apre un profilo pubblico per elargire consigli di stile!
Retribuzioni difficili e differenze di genere?
Personalmente non ho mai sentito una grossa differenza di genere tra me e un uomo. A parte per la questione della famiglia e dei bambini piccoli (cosa che necessita di una grande organizzazione e di un aiuto concreto), per il resto non mi sento di dire che l’Italia sia un Paese di razzisti o di sessisti. Anzi.
Ho trovato un grande coinvolgimento e rispetto in cantiere: evidentemente anche all’ operaio piace fare le “case belle” e si impegna per una buona riuscita della realizzazione. Del resto io stessa mi pongo molto alla pari con chi lavora. Non sono né mi sento superiore a nessuno e si crea molta empatia quando si esegue una lavorazione.
In merito alla questione delle retribuzioni c’è una base di verità. Rispetto alle ore lavorate non si guadagna in proporzione, ma è proprio nell’ottimizzazione del processo di consulenza che si riescono a ridurre le tempistiche e a creare una consulenza più smart o a seguirne di più contemporaneamente.
Ogni studio di architettura si organizza in maniera differente a seconda delle professionalità coinvolte e delle attività da svolgere. C’è chi decide tutto in studio, ad esempio, con fornitori di fiducia, senza perdere tempo in giro per gli showroom o chi delega la Direzione Lavori oppure ancora chi non realizza rendering o li affida in outsourcing. C’è chi ha la propria impresa di fiducia che garantisce un buon lavoro oppure chi fa consulenza solo a clienti altospendenti, con parcelle più alte.
Non esiste un solo modo di lavorare! Dopo un paio d’anni dal tuo inizio puoi tracciare una linea e capire cosa è andato bene e cosa si può migliorare. L’importante è non fornire mai un servizio mediocre o approssimato.
Conviene fare l’architetto?
In definitiva, se conviene o meno oggi fare l’architetto è una risposta molto personale. Io direi di Sì, anche se è una professione che necessita di una grande riforma generale. Siamo in tanti, nessuno ci insegna a gestire i clienti, la formazione universitaria dal punto di vista del lavoro concreto è carente, molti aspetti sono sottovalutati, tutto a discapito delle nuove generazioni emergenti.
Direi una bugia se dicessi che è facile.
L’architettura è una professione complicata, che necessita di una vera vocazione. Il carico emotivo e di informazioni da gestire è molto pesante e spesso i guadagni non sono commisurati alla fatica che si fa. Vale un po’ per tutti all’inizio questo discorso.
Nessuno è mai “arrivato” (forse lo sono solo le archistar, chissà) e non si smette mai di imparare. Sta a te decidere se vuoi fare di questa professione una ragione di vita o se vale la pena per te fare altro.
Di fatto è un lavoro attraente e appagante. C’è l’appagamento nel creare qualcosa di bello, un appagamento nel realizzarlo e un appagamento emozionale nel vedere il cliente soddisfatto. Le demoralizzazioni sono dietro l’angolo. Possono esserci intoppi di vario genere, ma se senti che stai lavorando e lottando per qualcosa a cui ti senti legato e motivato, puoi andare molto oltre.